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1 Marzo 2022Il lamento funebre pisticcese: la “naccarata”, termine dialettale che indica il canto funebre.
Sarà il famoso antropologo e storico delle religioni Ernesto De Martino (Morte e pianto rituale: dal lamento pagàno al pianto di Maria, 1958) che, nelle sue spedizioni etnografiche in Lucania, assegnerà alla naccarata pisticcese il primato dal punto di vista storico, fonetico e del linguaggio.
L’importanza del pianto rituale in Basilicata, retaggio del mondo pagano e greco ma diffuso in tutta l’area mediterranea, sta nella capacità del superamento dello strazio che deriva dalla morte. Tramite il pianto rituale, si elabora il lutto per esorcizzare il dolore e controllarlo, per preservare l’individuo che ha subito la perdita dalla follia. “Far morire il morto in noi” significa salvare noi stessi, razionalizzare la perdita, superare la crisi generata dal cordoglio.
In foto: persone in lutto dipinte su un frammento di Loutrophoros attico a figure nere, proveniente dalla Grecia e datato tra il 535 e il 525 a.C. Il frammento è custodito al museo del Louvre di Parigi, in Francia.
La naccarata, con i suoi codici linguistici, svolge una funzione sociale. Figure fondamentali erano le prefiche, “lamentatrici” di professione, figure necessarie nella salvaguardia della tradizione ma che racchiudono la funzione più importante, perchè collettiva, dell’aiuto nell’accettazione della morte, che viene così dominata, impedendo alla comunità che vive una perdita di esserne lacerata. Elaborare il lutto in una dimensione collettiva era l’unico modo per non perdere se stessi.
Il video è tratto dal canale Youtube: leofolk